Estasi del 6 luglio 1584
L’amore Gesù, il quale sempre io chiamo amore, diceva:
- O sposa mia, io t’ho tanto chiamato e tu non m’hai risposto!
E io gli rispondevo:
- Io t’ho tanto cercato e tu non ti sei lasciato trovare, amore mio!
Diceva Gesù amore:
- Sai perché non m’hai trovato? Perché non m’hai ben cercato.
E io rispondevo:
- Sai, amore, perché non t’ho riposto? Perché tu non hai chiamato tanto forte che io ti senta.
L’amore Gesù diceva:
- Cercami bene, sposa mia, e mi troverai.
Io dicevo:
- Grida forte e io ti sentirò.
Diceva l’amore Gesù:
- A te, a te tocca sposa mia cercar me.
E io per l’impazienza dell’amore dissi:
- Amore, tu sai pure che tu hai detto che chi più ha, più deve dare. Dunque, avendo tu più di me, tu devi dare. Sai bene che sei più potente di me, più ricco e più forte di me, e ancora sai che ami più di me. Tu dici che sei Verità. Dunque, se hai detto così, amore, hai pur detto il vero. E se così è il vero, tocca a te, amore, tocca a te, perché sei più potente e più forze hai di me. Chiamami tanto forte che io senta la tua voce.
Allora, egli subito cominciò a dire:
- Vieni, vieni colomba mia, bella mia, vieni.
E tutta mi unì a se stesso; e così unita a lui facevamo insieme un colloqui dolcissimo, sì come fa un amico con l’altro, del quale io non saprei pur dire un minimo che.
Dissi ben questo quando mi trovai ad essere così unita con lui:
- Ora t’ho trovato, amor mio, ora sono contenta ch’io sono unica con te, amore!
L’amore Gesù, il quale sempre io chiamo amore, diceva:
- O sposa mia, io t’ho tanto chiamato e tu non m’hai risposto!
E io gli rispondevo:
- Io t’ho tanto cercato e tu non ti sei lasciato trovare, amore mio!
Diceva Gesù amore:
- Sai perché non m’hai trovato? Perché non m’hai ben cercato.
E io rispondevo:
- Sai, amore, perché non t’ho riposto? Perché tu non hai chiamato tanto forte che io ti senta.
L’amore Gesù diceva:
- Cercami bene, sposa mia, e mi troverai.
Io dicevo:
- Grida forte e io ti sentirò.
Diceva l’amore Gesù:
- A te, a te tocca sposa mia cercar me.
E io per l’impazienza dell’amore dissi:
- Amore, tu sai pure che tu hai detto che chi più ha, più deve dare. Dunque, avendo tu più di me, tu devi dare. Sai bene che sei più potente di me, più ricco e più forte di me, e ancora sai che ami più di me. Tu dici che sei Verità. Dunque, se hai detto così, amore, hai pur detto il vero. E se così è il vero, tocca a te, amore, tocca a te, perché sei più potente e più forze hai di me. Chiamami tanto forte che io senta la tua voce.
Allora, egli subito cominciò a dire:
- Vieni, vieni colomba mia, bella mia, vieni.
E tutta mi unì a se stesso; e così unita a lui facevamo insieme un colloqui dolcissimo, sì come fa un amico con l’altro, del quale io non saprei pur dire un minimo che.
Dissi ben questo quando mi trovai ad essere così unita con lui:
- Ora t’ho trovato, amor mio, ora sono contenta ch’io sono unica con te, amore!
Estasi del 1584
“Signore non più amore, non più amore. È troppo, Signore, l’amore che hai verso le tue creature. No, non è troppo alla tua grandezza. Ma è troppo alla creatura, così vile e bassa. Perché, Signore, dai tanto amore a me che sono così indegna e bassa? Ci sono pure della altre creature, e pare che ci sia io sola? Comunica, Signore mio, questo tuo amore alle altre tue creature. L’Amore è stato quello che t’ha fatto impazzire, e sei impazzito per questa creatura tanto ingrata. O cecità, o malizia dell’uomo a tanto Amore. Nessuno c’è che ami il mio Amore. O Amor mio, quando ti possederò io? Quando mi unirò con te perfettamente? Quanto ti amerò io infinitamente? Gesù mio, non più amore, che io non ne posso più. E se più me ne vuoi dare, dammene quanto vuoi, ma dammi le forze per sopportarlo. O Vergine Santa, come facevi tu a starvi? Tu che lo vedevi, ed era tuo Figlio ed era anche Dio. E sapevi che faceva questo per l’amore che egli ha alla creatura.”
Estasi del 3 maggio 1592
Dopo aver fatto la Comunione, stette circa un’ora immobile com’era suo solito fare. Poi cominciò a parlare e dire alcune cose sopra l’eccellenza della Croce di Gesù. E finalmente si fermò a parlare dell’amore che ci mostrò il Verbo umanato sopra di essa, il quale tanto penetrava e gustava che era spinta a gridare molto forte:
“Amore, Amore! O Amore, che non sei né amato né conosciuto! Amore, datti a tutte le creature, Amore! Se non trovi dove riposarti, vieni tutto in me che ti accetterò ben io. O anime create d’amore e per amore, perché non amate l’Amore? E chi è l’Amore se non Dio, e Dio è l’amore? Deus charitas est, e questo stesso è il mio Sposo e il mio amore. Questo mio Amore non è amato né conosciuto. O Amore, tu mi fai struggere e consumare. Tu mi fai morire e pur vivo. Amore, gran pena mi fai sentire, a tale che il corpo ne partecipa anche lui, facendomi conoscere quanto poco sei conosciuto”.
Questa pena la dimostrava per i gesti e movimenti di esso corpo, però non si fermava punto. Quando si allargava le braccia, quanto batteva le mani insieme; ora pigliava la tonaca e mantello che aveva indosso e con gran forza gli tirava, a tal punto che stracciò un pezzo di mantello e ancora la tonacella, e non smetteva punto di dire: “Amore, Amore”, e chiamar l’anime che venissero a il suo Amore. Ardeva tanto la fiamma del divino amore nell’anima sua che trapassava anche nel corpo, per cui fece un viso molto infocato; e per il gran calore non poteva tenere nulla sul petto, e si sventolava come quando si sente un gran caldo.
Di poi si rizzò a volo e andò correndo tutto l’orto parecchi volte, e quasi per tutto il convento, e diceva che andava cercando le anime che conoscessero e amassero l’Amore. E sempre chiamava l’Amore o parlava con esso Amore; e tal volta incontrando qualche suora la pigliava e stringendola molto forte gli diceva: “Anima, amate voi l’Amore? Come fate a vivere? Non vi sentite consumare e morire per amore?”.
E simili parole diceva credendo che ciascuna sentisse quel che lei sentiva dentro di sé. Quando fu andata un pezzo per il convento, si attaccò poi alle campane, e campanuzzi, e sonava gridando ad alta voce: “Ad amare, anime, venite ad amar l’Amore da cui siete tanto amata! Ad amare, anime!”.
“Signore non più amore, non più amore. È troppo, Signore, l’amore che hai verso le tue creature. No, non è troppo alla tua grandezza. Ma è troppo alla creatura, così vile e bassa. Perché, Signore, dai tanto amore a me che sono così indegna e bassa? Ci sono pure della altre creature, e pare che ci sia io sola? Comunica, Signore mio, questo tuo amore alle altre tue creature. L’Amore è stato quello che t’ha fatto impazzire, e sei impazzito per questa creatura tanto ingrata. O cecità, o malizia dell’uomo a tanto Amore. Nessuno c’è che ami il mio Amore. O Amor mio, quando ti possederò io? Quando mi unirò con te perfettamente? Quanto ti amerò io infinitamente? Gesù mio, non più amore, che io non ne posso più. E se più me ne vuoi dare, dammene quanto vuoi, ma dammi le forze per sopportarlo. O Vergine Santa, come facevi tu a starvi? Tu che lo vedevi, ed era tuo Figlio ed era anche Dio. E sapevi che faceva questo per l’amore che egli ha alla creatura.”
Estasi del 3 maggio 1592
Dopo aver fatto la Comunione, stette circa un’ora immobile com’era suo solito fare. Poi cominciò a parlare e dire alcune cose sopra l’eccellenza della Croce di Gesù. E finalmente si fermò a parlare dell’amore che ci mostrò il Verbo umanato sopra di essa, il quale tanto penetrava e gustava che era spinta a gridare molto forte:
“Amore, Amore! O Amore, che non sei né amato né conosciuto! Amore, datti a tutte le creature, Amore! Se non trovi dove riposarti, vieni tutto in me che ti accetterò ben io. O anime create d’amore e per amore, perché non amate l’Amore? E chi è l’Amore se non Dio, e Dio è l’amore? Deus charitas est, e questo stesso è il mio Sposo e il mio amore. Questo mio Amore non è amato né conosciuto. O Amore, tu mi fai struggere e consumare. Tu mi fai morire e pur vivo. Amore, gran pena mi fai sentire, a tale che il corpo ne partecipa anche lui, facendomi conoscere quanto poco sei conosciuto”.
Questa pena la dimostrava per i gesti e movimenti di esso corpo, però non si fermava punto. Quando si allargava le braccia, quanto batteva le mani insieme; ora pigliava la tonaca e mantello che aveva indosso e con gran forza gli tirava, a tal punto che stracciò un pezzo di mantello e ancora la tonacella, e non smetteva punto di dire: “Amore, Amore”, e chiamar l’anime che venissero a il suo Amore. Ardeva tanto la fiamma del divino amore nell’anima sua che trapassava anche nel corpo, per cui fece un viso molto infocato; e per il gran calore non poteva tenere nulla sul petto, e si sventolava come quando si sente un gran caldo.
Di poi si rizzò a volo e andò correndo tutto l’orto parecchi volte, e quasi per tutto il convento, e diceva che andava cercando le anime che conoscessero e amassero l’Amore. E sempre chiamava l’Amore o parlava con esso Amore; e tal volta incontrando qualche suora la pigliava e stringendola molto forte gli diceva: “Anima, amate voi l’Amore? Come fate a vivere? Non vi sentite consumare e morire per amore?”.
E simili parole diceva credendo che ciascuna sentisse quel che lei sentiva dentro di sé. Quando fu andata un pezzo per il convento, si attaccò poi alle campane, e campanuzzi, e sonava gridando ad alta voce: “Ad amare, anime, venite ad amar l’Amore da cui siete tanto amata! Ad amare, anime!”.
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