martedì 8 luglio 2008

5 VERBI PER DIRE LA FEDE

1. Andare

"Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". (Mt 28,18b-20)

Da anni non si parla d'altro che di "nuova evangelizzazione". Ma cosa voglia dire praticamente sembra che sfugga a tutti, nonostante milioni di pagine stampate. Si sa che si deve annunciare il Vangelo ad un mondo balordo, ma poi si procede per tentativi, non sempre e non troppo efficaci. Gesù, dal canto suo, su questa spinosa questione ha già dato qualche precisa indicazione, con buona pace di tutti gli esperti di marketing dello spirito. Qualsiasi evangelizzazione, vecchia o nuova che sia, prende avvio da un suo preciso comando: "ANDATE!". Il cristiano è chiamato ad andare, deve andare, non può non andare, portato da e portatore di quattro certezze:
* solo nel nome del Signore Gesù è donata al mondo la pienezza della vita;
* Gesù è il Crocifisso Risorto, a cui il Padre "ha dato ogni potere in terra e in cielo";
* Gesù è con noi, "tutti i giorni, fino alla fine del mondo";
* senza lo Spirito Santo ogni annuncio è assolutamente inefficace.
Il cristiano deve essere, con Gesù e come Gesù, un missionario instancabile, ottimista, entusiasta.

2. Non giudicare

"Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati." (Mt 7,1-2)

Io non so se in Paradiso ci entrano soltanto quelli bravi, gli sposati con figli, i celibi, le vergini, i sani, i normali. Non lo so. Non so nemmeno quale sia di preciso quel "di più" o quel "di meno" che porta un uomo alla scelta libera e consapevole dell'Inferno o del Paradiso. Di una cosa però sono certo: in alcuni uomini è indubbiamente più marcata la scelta del bene, in altri la scelta di ciò che è male. E tra questi due estremi (mai ben definiti) si dispiega un'infinita varietà di altri uomini, confusamente impastati di bene e di male. Ora, di fronte a questo sterminato e variopinto campo che è l'umanità, veniamo quotidianamente assediati da una grande tentazione: quella di voler giudicare, cioè di voler tracciare confini e recinti, più o meno tutti conformi al nostro modo di agire e di pensare: "tu di qui, tu di là, tu dalla mia parte, tu dall'altra… perché io la penso così, perché io faccio così". Gesù invece amava sostare lungo le strade, fuori dalle mura di città, case e sinagoghe, perché solo lì poteva incontrare, da pari a pari, i poveri, i peccatori "pubblici", e poteva stare in loro compagnia, liberamente. Questo scandalizzava i "ben pensanti", i "bacia balaustre" del tempo: "come può il Messia scegliere pescatori, prostitute, usurai, lebbrosi come amici prediletti?". Allora, di fronte ad un Gesù che ama così, c'è poco da fare: o lo seguiamo, o andiamo avanti ad elevare steccati, mura, ecc. E per elevare un muro basta anche una mezza parola di condanna. Guai a noi, quindi, se ci permettessimo di anticipare il giudizio di Dio sulle vite di tanti uomini che non frequentano le nostre Chiese, i nostri gruppi e che non la pensano come noi. Nessuno di noi conosce quell'abisso che è il cuore dell'uomo, nessuno. Solo Dio. E Dio stesso, silenziosamente, è il primo che, di fronte ad ogni uomo, "tutto crede, tutto spera, tutto copre, tutto scusa, tutto sopporta".

3. Spalancare porte e finestre

"Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine, sarà salvato." (Mt 24, 12-13)

Oggi tante persone muoiono di freddo perché non si sentono accolte, ascoltate, amate per quello che sono. Tante persone muoiono di freddo perché non sentono il calore della Chiesa, della famiglia, degli amici. E il rischio, quando si sente freddo "dentro", è quello di perdere la fede e la speranza. Allora? Braccia aperte e occhi sorridenti: questo è il primo passo, questa è attualmente la sola porta attraverso cui può entrare, vuole entrare l'amore di Dio nella vita di chi ci sta accanto. Siamo canali che hanno il compito di far scorrere acqua che non ci appartiene, destinata a ristorare altre anime, altri cuori, assetati forse più dei nostri. E dopo questo primo passo? Nient'altro che avere il coraggio e la pazienza di stare al fianco, con negli occhi la propria miseria, la propria debolezza, e quell'amore di Dio che ci spinge a cercare sempre ciò che è perduto o lontano. Amare ciò che sembra perduto o lontano: questo è (e deve essere) il cuore di ogni esperienza missionaria. Siamo chiamati a dare la vita per chi "non merita" (ai nostri occhi, agli occhi di una certa Chiesa, agli occhi del mondo) il minimo gesto di accoglienza, di affetto e comprensione.

4. Valorizzare il bene ed educare alla fede

"Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. È venuto infatti il Figlio dell'uomo a salvare ciò che era perduto." (Mt 18,10-11)

A forza di vedere il male ovunque, dimentichiamo che uno dei nostri compiti è quello di dare speranza, di e-ducare, cioè di "tirar fuori" il buono che c'è in ogni esperienza, anche la più negativa e distruttiva, per valorizzarlo e fondare su di esso qualcosa di ancor più buono. A forza poi di additare "le mete alte" della vita cristiana (che non a caso vengono dette "perfezione"), finiamo per dimenticare o allontanare chi, nel cammino della vita e della fede, non riesce a fare il primo passo, oppure chi si arresta o devia, per tanti motivi. Troppo spesso insegniamo quello che non si deve fare prima di abituare alla frequentazione del mistero di Dio, a tacere, a piangere, a ridere, ad arrabbiarsi di fronte ad un Dio più grande di ogni definizione. Troppo spesso siamo più preoccupati di catechizzare, di creare un consenso intorno a poche idee, invece che di mostrare, anche con gli alti e bassi della propria vita, l'amore di Dio per l'uomo, l'amore di Cristo per ogni uomo. Dobbiamo quindi riscoprire e mostrare l'essenza della fede, cioè la progressiva scoperta di un amore forte, totale, liberante.

5. Soffrire con chi soffre, lottare per chi soffre

"E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date." (Mt 10,7-8)

Dio non ama il dolore e noi non possiamo amare il dolore per se stesso. Dio non vuole una religione del dolore, non vuole che facciamo del dolore una via universale di salvezza. Il dolore non salva nessuno. Dio non ci chiama a fare del Calvario il nostro abituale luogo di vita, la meta delle nostre anime. Dio ci chiama a scoprire il Suo amore e ad amare come ama Lui. Fino a dare la vita, fino ad offrire per gli altri la propria vita, così come viene, con il suo groviglio di gioie e dolori, attese e delusioni. Dio ci chiama a cambiare quanto è in nostro potere di cambiare, a lottare contro quanto va combattuto e vinto: il peccato che inquina tutto e tutti, la tristezza che paralizza, l'egoismo che chiude il cuore, i pregiudizi e le ingiustizie che umiliano l'uomo. Dio ci chiama a ridare il sorriso a chi soffre. E se è impossibile cambiare una situazione, Dio ci chiede di imparare noi per primi a guardare con gratitudine al buono che c'è comunque intorno a noi, in noi, o al bene (anche eterno) che ci aspetta. Questo dobbiamo fare per ridare certezza ad un mondo confuso e infelice. E se non lo facciamo noi, chi lo può fare al posto nostro?

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