venerdì 19 dicembre 2008
“Lo Spirito soffio dove vuole”. Credo che uno dei compiti di ogni cristiano, e in particolare di ogni cattolico, sia quello di saper riconoscere – anche intuitivamente – i segni del passaggio dello Spirito Santo: ora è terremoto, ora uragano, ora fuoco dal cielo, ora brezza leggera. A noi spetta il compito di intuirne il passaggio e di additare al mondo la presenza dello Spirito del Signore. “Nessuno – dice S. Paolo – può proclamare Gesù è il Signore! se non sotto l’azione dello Spirito Santo”: là dove si riconosce Gesù come il Signore e il Salvatore, là dove si accoglie Gesù come il Signore e il Salvatore, là dove si proclama che Gesù è il Signore e il Salvatore, là – proprio là – è in azione lo Spirito Santo: ce lo conferma la Parola di Dio, non abbiamo bisogno di altri testimoni. E questo accade in CL come nei neocatecumenali, nel RnS come nel movimento della gloria, nell’Azione Cattolica come nei pentecostali. Questo è l'essenziale, a prescindere dalle forme con cui di volta in volta si presenta.
S. Paolo scrive poi che come il corpo è fatto di molte membra, così la Chiesa: e in tutte le membra agisce in maniera unica lo Spirito Santo. Nessuno – nella Chiesa - può dire: “Io possiedo la pienezza dei doni e dei carismi dello Spirito Santo! Io possiedo la pienezza delle manifestazioni dello Spirito Santo!”. Nessuno. Abbiamo bisogno gli uni degli altri. Abbiamo bisogno dei carismi, dei doni, delle manifestazioni dello Spirito Santo gli uni degli altri. Il rischio terribile che corriamo – ora in buona fede, ora per un orgoglio sottile – è quello di crederci in diritto di sminuire i doni, i carismi dei fratelli perché non fanno parte del nostro gruppo, movimento, associazione, comunità, perché non hanno il nostro stile di preghiera, la nostra spiritualità, il nostro modo di pensare, di ragionare, di sentire. E questo è il punto debole in cui si insinua sistematicamente il demonio. Sistematicamente. E il frutto di queste vere e proprio incomprensioni – a volte lotte –, è la divisione. E, purtroppo, diamo scandalo ai fratelli più piccoli, più deboli.
Gesù ci ha dato un altro criterio per discernere: una radice buona fa frutti buoni e duraturi, un seme buono fa frutti buoni e duraturi. Già il buon Gamaliele insegnava a Paolo che le opere di Dio, se sono di Dio, possono subire rallentamenti, deviazioni, possono suscitare incomprensioni, vespai, incredibili sofferenze, ma alla fine vanno avanti e si affermano contro tutti i detrattori, contro tutti i nemici, visibili e invisibili. A maggior ragione quando l’opera è legata all’evangelizzazione, alla proclamazione della Parola, alla preghiera d’intercessione. Se i frutti dello Spirito (pace, gioia, amore…) sono segni dell’azione di Dio in un’anima, in un gruppo, in una comunità, allora quando li vediamo con i nostri occhi, li udiamo con le nostre orecchie, li tocchiamo con mano, impariamo a non giudicare, ma ad aprire la nostra bocca al ringraziamento e all’incoraggiamento. Come aveva fatto il saggio Barnaba quando – vedendo le meraviglie di Dio nella neonata comunità d’Antiochia – aveva apprezzato, benedetto, accompagnato. Certo: vegliamo per non cadere, vegliamo per non deviare. Vigiliamo insieme. Ma che non ci capiti di ostacolare l’agire di Dio. Amen!
domenica 9 novembre 2008
Di nuovo sulla fede
"Credi?" domanda Gesù prima di far qualunqua opera d'amore...
"Crede che io possa guarirvi?" disse ai due ciechi.
"Sì, Signore, lo crediamo". E il miracolo è fatto.
Ai Suoi apostoli: "Che dicono di me?...E voi, chi dite ch'io sia?".
"Signore Tu sei il Cristo, Figlio di Dio vivo!".
E così sempre, quando si domanda un'opera della Sua potenza e della Sua misericordia, Gesù risponde: "Potete credere? Tutto è possibile a colui che crede".
Non parlava diversamente a S. Margherita Maria: "Quando Gli presentavo le mie piccole richieste, su tutte quelle cose che sembravano tanto difficili ad ottenere mi pareva di sentir queste parole: CREDI TU CH'IO POSSA FARLO? - SE CREDI, TU VEDRAI LA POTENZA DEL MIO CUORE, NELLA MAGNIFICENZA DELL'AMOR MIO".
(...) Se i cristiani, se i Sacerdoti avessero fede nell'amor Suo, nel Suo Cuore, trasformerebbero il mondo. DACCI, SIGNORE, L'ONNIPOTENZA DELLA FEDE DI QUESTI SANTI CHE HANNO CREDUTO ALL'AMOR TUO!
sabato 11 ottobre 2008
Sulla fede 2
mercoledì 13 agosto 2008
Amare è...
Amare è fare il primo passo, spesso soltanto il secondo, a volte un passo indietro.
Amare è saper aspettare, saper perdere, saper dimenticare, saper tacere.
Amare è saper ricevere prima che donare.
Amare è sorridere per primi.
Amare è avere il coraggio di piangere, di commuoversi, di indignarsi, di gridare.
Amare è ascoltare anche quando si vorrebbe essere ascoltati.
Amare è abbracciare e consolare.
Amare è consigliare e pregare.
Amare è continuare a credere nell'Amore nonostante cumuli di dolore.
Amare è fissare il Cielo anche quando sembra chiuso e ostinato.
Amare è offrire se stessi nelle piccole occasioni come nelle grandi.
Amare è sistemare la tavola in un certo modo, preparare il divano, offrire un caffè, donare un libro o un pensiero, fare una telefonata, inviare una mail o un sms ad un certa persona, chiedere "come stai?", far celebrare una Messa, accendere una candela, dare una carezza, fare un battuta, ecc.
Amare a volte è più facile di quanto sembri.
venerdì 1 agosto 2008
Tempo di deserto...
lunedì 28 luglio 2008
Coraggio, sentinella!
nella notte più cupa, canta,
canta la venuta, la certezza del Nuovo Giorno,
non smettere di cantare,
di annunciare che il Signore è fedele, che Lui viene.
Fissa l’orizzonte e canta,
non smettere di cantare,
per dare luce a chi non vede, speranza a chi dispera.
Sentinella, anche fra le lacrime, canta:
sì, la stanchezza è tanta,
l’attesa snervante, le intemperie flagellano,
ma continua a cantare, non smettere di cantare.
Lui, è certo, verrà: te lo ha suggerito all’orecchio
il soffio leggero del Vento,
l’hai letto nei movimenti del cielo,
intravisto nelle pallide luci dell’alba: sì, Lui avanza,
anche se la battaglia è feroce e i nemici colpiscono.
Ma tu canta, canta per il tuo Signore,
anche se nessuno ascolta, nessuno capisce:
canta la tua lode e annuncia che Lui viene,
viene per amore del Suo popolo,
viene per la gioia del Suo popolo.
Sentinella, canta, non smettere di cantare. Amen.
domenica 20 luglio 2008
QUANDO L'AMORE GRIDA... estasi di S.Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607)
L’amore Gesù, il quale sempre io chiamo amore, diceva:
- O sposa mia, io t’ho tanto chiamato e tu non m’hai risposto!
E io gli rispondevo:
- Io t’ho tanto cercato e tu non ti sei lasciato trovare, amore mio!
Diceva Gesù amore:
- Sai perché non m’hai trovato? Perché non m’hai ben cercato.
E io rispondevo:
- Sai, amore, perché non t’ho riposto? Perché tu non hai chiamato tanto forte che io ti senta.
L’amore Gesù diceva:
- Cercami bene, sposa mia, e mi troverai.
Io dicevo:
- Grida forte e io ti sentirò.
Diceva l’amore Gesù:
- A te, a te tocca sposa mia cercar me.
E io per l’impazienza dell’amore dissi:
- Amore, tu sai pure che tu hai detto che chi più ha, più deve dare. Dunque, avendo tu più di me, tu devi dare. Sai bene che sei più potente di me, più ricco e più forte di me, e ancora sai che ami più di me. Tu dici che sei Verità. Dunque, se hai detto così, amore, hai pur detto il vero. E se così è il vero, tocca a te, amore, tocca a te, perché sei più potente e più forze hai di me. Chiamami tanto forte che io senta la tua voce.
Allora, egli subito cominciò a dire:
- Vieni, vieni colomba mia, bella mia, vieni.
E tutta mi unì a se stesso; e così unita a lui facevamo insieme un colloqui dolcissimo, sì come fa un amico con l’altro, del quale io non saprei pur dire un minimo che.
Dissi ben questo quando mi trovai ad essere così unita con lui:
- Ora t’ho trovato, amor mio, ora sono contenta ch’io sono unica con te, amore!
“Signore non più amore, non più amore. È troppo, Signore, l’amore che hai verso le tue creature. No, non è troppo alla tua grandezza. Ma è troppo alla creatura, così vile e bassa. Perché, Signore, dai tanto amore a me che sono così indegna e bassa? Ci sono pure della altre creature, e pare che ci sia io sola? Comunica, Signore mio, questo tuo amore alle altre tue creature. L’Amore è stato quello che t’ha fatto impazzire, e sei impazzito per questa creatura tanto ingrata. O cecità, o malizia dell’uomo a tanto Amore. Nessuno c’è che ami il mio Amore. O Amor mio, quando ti possederò io? Quando mi unirò con te perfettamente? Quanto ti amerò io infinitamente? Gesù mio, non più amore, che io non ne posso più. E se più me ne vuoi dare, dammene quanto vuoi, ma dammi le forze per sopportarlo. O Vergine Santa, come facevi tu a starvi? Tu che lo vedevi, ed era tuo Figlio ed era anche Dio. E sapevi che faceva questo per l’amore che egli ha alla creatura.”
Estasi del 3 maggio 1592
Dopo aver fatto la Comunione, stette circa un’ora immobile com’era suo solito fare. Poi cominciò a parlare e dire alcune cose sopra l’eccellenza della Croce di Gesù. E finalmente si fermò a parlare dell’amore che ci mostrò il Verbo umanato sopra di essa, il quale tanto penetrava e gustava che era spinta a gridare molto forte:
“Amore, Amore! O Amore, che non sei né amato né conosciuto! Amore, datti a tutte le creature, Amore! Se non trovi dove riposarti, vieni tutto in me che ti accetterò ben io. O anime create d’amore e per amore, perché non amate l’Amore? E chi è l’Amore se non Dio, e Dio è l’amore? Deus charitas est, e questo stesso è il mio Sposo e il mio amore. Questo mio Amore non è amato né conosciuto. O Amore, tu mi fai struggere e consumare. Tu mi fai morire e pur vivo. Amore, gran pena mi fai sentire, a tale che il corpo ne partecipa anche lui, facendomi conoscere quanto poco sei conosciuto”.
Questa pena la dimostrava per i gesti e movimenti di esso corpo, però non si fermava punto. Quando si allargava le braccia, quanto batteva le mani insieme; ora pigliava la tonaca e mantello che aveva indosso e con gran forza gli tirava, a tal punto che stracciò un pezzo di mantello e ancora la tonacella, e non smetteva punto di dire: “Amore, Amore”, e chiamar l’anime che venissero a il suo Amore. Ardeva tanto la fiamma del divino amore nell’anima sua che trapassava anche nel corpo, per cui fece un viso molto infocato; e per il gran calore non poteva tenere nulla sul petto, e si sventolava come quando si sente un gran caldo.
Di poi si rizzò a volo e andò correndo tutto l’orto parecchi volte, e quasi per tutto il convento, e diceva che andava cercando le anime che conoscessero e amassero l’Amore. E sempre chiamava l’Amore o parlava con esso Amore; e tal volta incontrando qualche suora la pigliava e stringendola molto forte gli diceva: “Anima, amate voi l’Amore? Come fate a vivere? Non vi sentite consumare e morire per amore?”.
E simili parole diceva credendo che ciascuna sentisse quel che lei sentiva dentro di sé. Quando fu andata un pezzo per il convento, si attaccò poi alle campane, e campanuzzi, e sonava gridando ad alta voce: “Ad amare, anime, venite ad amar l’Amore da cui siete tanto amata! Ad amare, anime!”.
Cosa c'è dietro... cosa c'è sotto... cosa c'è dentro...
sabato 19 luglio 2008
C'è speranza per tutti... proprio per tutti...
(Daniel-Ange, I SANTI DEL 2000, Editrice Sion)
Piccoli indizi..
giovedì 17 luglio 2008
Dio in noi
A volte mi capita di pensare allo Spirito Santo come Persona che mi abita e che mi trascende, come Persona divina in cui sono letteralmente immerso, come Persona che mi avvolge con la Sua presenza e che vuole entrare in dialogo con me, guidandomi passo a passo, confortandomi e consolandomi ogni istante. Allo stesso modo, guardando il quadro del Sacro Cuore, mi rendo conto di come tutta la mia vita, il mio passato, il mio presente, il mio futuro siano racchiusi in quel Cuore: lì c’è il mio passato perdonato e trasfigurato dall’amore misericordioso di Gesù, lì c’è il mio presente abbandonato alla Sua provvidenza, lì c’è il mio futuro avvolto nel mistero della Sua sapienza e lì c’è la mia eternità, il posto che occuperò nella gloria. Tutto è lì dentro, tutti sono lì dentro. Mi conforta molto vedere questo Cuore ferito, circondato da spine, così umano, tra le mani di Gesù: penso che sia il mio cuore fra le Sue mani, cuore su cui regna la Sua croce, cuore che vuole ardere del Fuoco dello Spirito Santo, cuore che, proprio nella sua spaventosa piccolezza e meschinità, racchiude la gloria stessa della Divinità. E lo sguardo di Gesù mi dice: “Vedi Matteo? Abbi fiducia in me!”. Amen!
martedì 15 luglio 2008
Dialogo tra un sociologo e un teologo...
Non ci può essere alcuna risposta se il terreno della discussione non è condiviso. La sociologia e la teologia prendono avvio da poli considerati opposti: la prima non ammette, più o meno apriori, ciò che la seconda tematizza e argomenta, cioè la possibilità di una rivelazione storica di Dio all’uomo. Il rischio effettivo è di un dialogo fra sordi. In radice è sempre una questione di scelta, di opzione fondamentale: scegliere di credere o meno alla rivelazione di Dio.
Credo però che il compito della teologia sia chiaro: offrire una chiara e precisa lettura della storia attuale, della nostra cultura, denunciandone i rischi e valorizzandone le potenzialità. La teologia può e deve offrire strumenti rigorosi di analisi del reale, alla luce della tradizione biblica ed ecclesiale.
Un esempio. La situazione in cui versa oggi la Chiesa, l’Italia e l’Occidente in generale, è drammatica: siamo frammentati, a tutti i livelli. La lenta e progressiva secolarizzazione ha portato all’apostasia e quindi alla dispersione e alla frammentazione: si è separato volutamente l’uomo da Dio, la fede dalla ragione e dalla morale, la fede personale dalla fede della Chiesa, la morale personale dalla moralità collettiva, il piacere della vita dalla fatica di vivere, la ricerca del benessere dal cammino spirituale, la bontà di una scelta dalla costanza nella scelta, le ragioni del cuore dalle ragioni della testa, ciò che sentiamo come vero da ciò che è vero. La secolarizzazione, questa sorta di “emancipazione” da Dio e dalla Chiesa, ha diviso e frammentato l’uomo, lo ha disperso in mille rigagnoli e lo ha confuso: siamo tutti storditi, sovreccitati e annebbiati da vecchi e nuovi sospetti, distrazioni di ogni genere, false profezie e infiniti guru.
Ci affanniamo nel mettere in cattiva luce la verità (fosse anche soltanto nella nostra coscienza), nell’oscurarla, umiliarla, schiacciarla, nel distruggerne i testimoni, nel contraddirne i concetti. Siamo diventati abili nell’anestetizzare la nostra coscienza, abili nel cercarci alibi, nell’assolvere noi stessi in nome di noi stessi, ci piace cambiare i nomi alle cose per farcele sembrare meno cattive (così, ad esempio, la pillola “del giorno dopo” non è più “abortiva” ma “pillola contraccettiva d’emergenza”), facciamo finta di non ricordare, di non sapere, di non vedere, di non sentire. Vogliamo rimuovere dalla nostra vita tutto ciò che ci espone al rischio e al dramma della responsabilità. La libertà fa paura, per questo si fugge dalla responsabilità dello scegliere: così si privilegiano visioni deterministiche del mondo e della natura (l’ultima moda è la genetica), si parla di destino o di karma, si cercano esperienze di estraniamento da sé e dal mondo.
La paura di vivere e di crescere ci paralizza. Perciò cerchiamo istericamente l’anestetico migliore. E l’anestetico fa sempre effetto: intorpidisce progressivamente, altera i sensi, offusca l’intelligenza, paralizza la coscienza, sclerotizza la volontà. Non cerchiamo più la forza per andare avanti: cerchiamo il piacere che fa dimenticare. Non scegliamo la libertà, ma la dipendenza. Fuggiamo da un Salvatore per buttarci fra le braccia del primo che passa, del cristo che ci fa comodo, del cristo a pagamento: l’importante è che assolva la sua funzione: non disturbarci più di tanto, farci provare qualche emozione forte, ecc. Non importa la spesa: l’importante è che mi dia ciò che cerco, con il minimo sforzo. Non importa nemmeno da dove venga: dall’Oriente, dall’aldilà, dalla meditazione, da dentro di noi. L’importante è che ci sia, che ci stia e che ci dia “la roba”: è un cristo spacciatore.
Ecco, questo è il compito della teologia: offrire una chiave di lettura credibile, interpretare il presente alla luce delle Fonti, saper riconoscere i segni di Dio nella storia di oggi, dialogare con le coscienze e ascoltare la voce dello Spirito.
La teologia si interroga di fronte al relativismo?
S’interroga e ne denuncia le conseguenze. Come ho detto prima, oggi si assiste alla deriva delle grandi istituzioni, cioè alla progressiva emancipazione da Chiesa e famiglia, dalle fonti della tradizione, della cultura, di una visione del mondo condivisa e condivisibile: non hanno più rilevanza sociale, non sono più riconosciute come custodi e garanti di un bene comune, di un patrimonio di valori, intuizioni, esperienze accessibili a tutti e a vantaggio di tutti. Questa deriva intimistica della fede e privatistica della morale sono il rifiuto di un’evidenza: apparteniamo ad una storia, ad un ecosistema, ad un universo ben preciso. Non soltanto abbiamo tagliato le nostre radici, ma ci crediamo gli unici alberi del giardino.
Ha senso credere senza appartenere? E l’appartenenza è controllo?
Si può credere in Dio o in Gesù Cristo senza appartenere alla Chiesa? A quanto pare sì, tant’è che molti si professano cattolici non praticanti, cioè cattolici che non partecipano attivamente alla vita della Chiesa. È pur vero, però, che proprio questa professione di fede cattolica rivela da una parte la propria origine ecclesiale: cioè ogni cattolico nasce ed è educato, almeno fino alla Cresima, in un preciso contesto parrocchiale; dall’altra, che si condivide, in maniera più o meno completa e approfondita, il Credo cattolico, che è il Credo della Chiesa. Insomma, per dirsi e per vivere da cattolici non si può prescindere dalla Chiesa.
Per capire il nesso fra fede personale e Chiesa, può essere illuminante l’esperienza di Samuele, il grande profeta biblico. Samuele è cresciuto fin da bambino all’ombra del Tempio, ma, come dice la Scrittura, “fino ad allora non aveva ancora incontrato il Signore”. Samuele vive nel Tempio, fa il chierichetto e il sagrestano, legge e canta, eppure non ha mai incontrato il Signore: com’è possibile? Sarà il Signore ad avvicinarsi a Samuele, per ben tre volte: ma Samuele non sa riconoscere la voce del Signore. Il Signore non si stanca: continua a chiamarlo. Allora Eli - da cui Samuele andava ogni volta, pensando che fosse lui a chiamarlo nel cuore della notte -, intuisce che sta accadendo un incontro tra Samuele e il Signore e suggerisce la risposta da dare: “Parla, Signore, che il Tuo servo Ti ascolta”. E finalmente avviene l’incontro. Qui è fondamentale il ruolo di Eli: ci vuole qualcuno che mi offra una chiave interpretativa, che mi educhi a riconoscere la voce del Signore, a riconoscerne la presenza, i segni del Suo passaggio. Per gli Ebrei e per noi Cattolici i paletti sono molto precisi: il canone biblico (la Bibbia) e la Tradizione (la storia di fede della comunità). Nient’altro. S. Gerolamo diceva: “l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo”. Ma possiamo aggiungere: “l’ignoranza della Tradizione è ignoranza di Cristo”. E per Tradizione bisogna intendere tutto quanto riguarda la vita della comunità cristiana: i pronunciamenti dei Papi, i documenti dei Concili, la vita dei Santi, la mia vita interiore e quella dei miei fratelli, nel bene e nel male. In una parola: la Tradizione è il fratello di fede che mi ha preceduto e che cammina con me oggi. Ciò vuol dire che da una parte abbiamo la libera iniziativa di Dio, la Sua imprevedibile rivelazione, dall’altra la fede di chi è già stato chiamato da Dio. La mia fede, suscitata da Dio, ha bisogno del fratello per crescere e maturare. La mediazione fraterna - fatta di preghiere, di annuncio, di testimonianza - è indispensabile per la mia fede. Il Dio biblico è Dio di un popolo, di testimoni innestati nelle vicende di un popolo, di chiamati al servizio della fede di un popolo.
Fede e ragione in che rapporto sono?
Mai l’una senza l’altra. La fede senza la ragione diventa fondamentalismo o sensazionalismo; la ragione senza la fede scade nel razionalismo. Chi le oppone, chi privilegia l’una contro l’altra, ottiene una visione distorta del fenomeno religioso, una visione anti-storica, anti-umana. Il luogo d’incontro di fede e ragione è la storia, la storia di uomini e donne dai nomi e dai volti precisi. Il fondamento della fede cristiana è pratico, cioè nasce da un’esperienza, dall’esperienza dell’incontro personale con Gesù Cristo. Non nasce da istanze razionali, etiche, sociali, di un gruppo o di una nazione: la cultura può predisporre, può offrire strumenti e categorie per conoscere la verità cristiana, ma l’adesione di fede è un evento suscitato dall’irruzione di Dio nella propria vita. In questo senso, proprio perché atto eminentemente umano, l’adesione di fede è un fenomeno storico conoscibile, verificabile, indagabile dalla ragione. Insomma, la fede non pregiudica l’indagine razionale, la conoscenza storica e viceversa: questa è la forza e la novità del Giudaismo e del Cristianesimo.
lunedì 14 luglio 2008
Considerazione...
domenica 13 luglio 2008
SVEGLIAAAAAAAAAA!!!
sabato 12 luglio 2008
Dedicato a te che soffri...
Di fronte a questi eventi tragici e repentini, accaduti durante un grandissimo periodo di sofferenza fisica e interiore che stavo vivendo, mi ero lasciato andare alla disperazione e allo “stordimento”: nessuno, nemmeno Dio, quel Dio che tutti dipingono come buono e misericordioso, sembrava avere la soluzione dei miei problemi. Forse non esisteva nemmeno. Così pensai bene di buttarmi in tantissime cose da fare e di attaccarmi disperatamente agli altri, nel tentativo di trovare un valido motivo per vivere, o almeno per sopravvivere. Purtroppo però nessuno era in grado di rispondere ai miei interrogativi e di condividere il peso della mia croce.
Avevo maturato allora la decisione di abbandonare il “buon” Dio: ci saremmo comportati da vicini di casa, ma non di più. Io non ne volevo sapere di Lui e Lui non doveva interessarsi di me. Quindi basta Confessione! Basta Comunione! E basta preghiera, perché tanto non serve a niente… la Messa però sì, per non scandalizzare chi mi era stato affidato...
Ad un tratto è accaduto qualcosa. Non mi ricordo come sia successo, ma ho trovato un libro dal titolo molto eloquente: “La potenza della Lode”. Un po’ per rassegnazione, un po’ per sfida, un po’ per gioco, ho cominciato a lodare Dio per ogni circostanza, così come suggeriva il libro. A poco a poco qualcosa ha cominciato realmente a cambiare: intuivo che le mura sarebbero cadute con la lode; se non fossero cadute, mi sarebbero state date le ali della libertà. All’inizio mi è costato moltissimo dire “grazie” al Signore, perché mi sentivo vuoto, meschino: non ero per nulla convinto di dover ringraziarLo per quelle situazioni che faticavo a comprendere e che sembravano senza via d’uscita, senza una ragione. Ma più Lo lodavo, più mi convincevo che la lode poteva essere l’unica via, quell’atto di fede (spesso contrario a ragione e sentimenti) che permette a Dio di entrare pienamente nella nostra vita, di operare attraverso gli eventi, attraverso di noi, di stupirci.
Qualche tempo dopo accadde un altro fatto. Era il 9 Marzo del 2005. Un’amica mi aveva invitato a partecipare ad un’adorazione nella parrocchia di S. Marino, animata da un gruppetto del Rinnovamento. Avevo già partecipato a qualche adorazione animata da questo gruppo e, caso strano, nonostante il mio stato di "disgrazia", ne ero sempre uscito sereno. Così ho accettato l’invito. Mentre l’adorazione procedeva, ho cominciato ad entrare in crisi, perché le parole di Dio e dei fratelli continuavano a parlare del Suo amore. Io continuavo a pregare tenendo gli occhi ben chiusi e a seguire sul libretto i canti, che per la maggior parte non conoscevo. Ad un certo punto si sono avvicinate due “sorelle” del gruppo e hanno cominciato a pregare per me. E qui sono “esploso”, piangendo come non mai… Improvvisamente ho cominciato a provare una profondissima serenità e una fortissima sensazione di calore a tutto il corpo, in particolare al cuore: ero immerso in una pace che aveva fatto sparire ogni dubbio, ogni angoscia… Così, qualche tempo dopo, il 13 Maggio 2005, mi sono riaccostato ai Sacramenti. Da allora vivo in una continua serenità, una serenità di fondo che, comunque, nessuna tentazione o preoccupazione può spegnere. È difficile far capire ciò che ho provato, ciò che finalmente ho vissuto e sto vivendo… Il Signore mi ha donato di fare un’esperienza forte del Suo amore… che mi risulta difficile far capire, far percepire… La pace che provo non è "quieto vivere": la lotta è quotidiana, ma comunque, nelle profondità del cuore tutto è calmo. Prima non lo ero, non lo sono mai stato. Dio è entrato e si è piazzato lì. E di lì io non lo voglio smuovere.
Sì, è vero, a volte il Signore permette che sbattiamo la testa contro un muro. Quando avremo esaurito la forza della rabbia, del rancore, della disperazione, allora ci accorgeremo che l’unico, l’unico modo per uscire da quella situazione è fare un salto verso l’alto. Nel mio caso è stata la lode, l’esercizio della lode.
Infine ho compreso che Dio non si attarda mai in spiegazioni sul mistero della sofferenza (vedi ad esempio la risposta di Gesù alla domanda sul perché di un cieco dalla nascita), ma che Dio è capace di operare nella sofferenza (“è così perché si manifestino in lui le opere di Dio!”). A me, a noi è chiesta soltanto la fiducia, perché per Dio non è un ostacolo la sofferenza, la malattia, il peccato, solo la nostra sfiducia.
venerdì 11 luglio 2008
A proposito del Cornuto.....
La situazione drammatica in cui versa la Chiesa, l’Italia e l’Occidente in generale, è conseguenza diretta della nostra incredulità: ogni volta che abbiamo “abusato” del nome di Dio per i nostri comodi, ogni volta che abbiamo trasformato i luoghi, i modi, i tempi del servizio disinteressato e gratuito in luoghi, modi e tempi di potere per il tornaconto personale o di gruppo, ogni volta che ci siamo sentiti e detti migliori di altri, ogni volta che abbiamo insegnato ad altri quello che noi non abbiamo sperimentato o vissuto, abbiamo reso cattiva testimonianza al Vangelo. Abbiamo soffocato lo Spirito sotto le nostre rigidità, sotto la paura di perdere poltrone e posti di comando, sotto le cose che “ormai già sappiamo”; abbiamo spento lo Spirito per paura che ci rovinasse la festa, per paura che ci chiedesse un abbandono radicale alla Provvidenza, per paura di perdere in un attimo la faccia, la stima, tutto ciò che abbiamo costruito “con tanta fatica” e che ci siamo in qualche modo “meritati”...
Il demonio divide: la sua azione è dividere, separare, impedire, vanificare l’unità. A tutti i livelli e con qualsiasi mezzo, in modo vistoso o terribilmente nascosto. Ha diviso tutto: l’uomo da Dio, l’uomo dal fratello, l’uomo e la donna, i figli dai genitori, la fede dalla morale, la fede personale dalla fede della Chiesa, la morale personale dalla moralità collettiva, il piacere della vita dalla fatica di vivere, la ricerca del benessere dal cammino spirituale, la bontà di una scelta dalla costanza nella scelta, le ragioni del cuore dalle ragioni della testa, ciò che sentiamo come vero da ciò che è vero, il sesso dall’amore, la vita dal sesso, ecc. Ha diviso, frammentato l’uomo, lo ha disperso in mille rigagnoli. E lo ha confuso: il demonio infatti ama insinuare sospetti, sovreccitare la sensibilità, annebbiare con mille distrazioni, mettere paura ingigantendo ostacoli, limiti, situazioni, ecc.
Il demonio ha trovato un potentissimo alleato dentro ciascuno di noi: la paura. Abbiamo una paura folle della verità: perciò ci affanniamo nel metterla in cattiva luce (fosse anche soltanto nella nostra coscienza), nell’oscurarla, umiliarla, schiacciarla, nel distruggerne i testimoni, nel contraddirne i concetti. Siamo diventati abili nell’anestetizzare la nostra coscienza, abili nel cercarci alibi, nell’assolvere noi stessi in nome di noi stessi, ci piace cambiare i nomi alle cose per farcele sembrare meno cattive (così, ad esempio, la pillola “del giorno dopo”, non è più “abortiva” ma “pillola contraccettiva d’emergenza”), facciamo finta di non ricordare, di non sapere, di non vedere, di non sentire. Il “tutto è relativo” ci fa comodo!
Vogliamo rimuovere dalla nostra vita tutto ciò che ci espone al rischio e al dramma della responsabilità, alla fatica, al dolore, alla morte. La paura di vivere e di crescere ci paralizza. Perciò cerchiamo istericamente l’anestetico migliore. E l’anestetico fa sempre effetto: intorpidisce progressivamente, altera i sensi, offusca l’intelligenza, paralizza la coscienza, sclerotizza la volontà. Non cerchiamo la forza per andare avanti: cerchiamo il piacere che fa dimenticare. Non scegliamo la libertà, il rischio della scelta, ma scegliamo la dipendenza, la non-scelta.
Vogliamo vivere senza Cristo, ma ne abbiamo disperatamente bisogno. Fuggiamo da un Salvatore per buttarci fra le braccia del primo salvatore che passa, del Cristo che ci fa comodo, del Cristo a pagamento: l’importante è che assolva la sua funzione: farci dimenticare, almeno per un po’, i nostri problemi, farci provare qualche forte emozione, farci star bene con noi stessi… Non importa la spesa: l’importante è che mi dia ciò che cerco, con il minimo sforzo. Non importa nemmeno da dove venga: dall’Oriente, dall’aldilà, dalla meditazione, da dentro di noi. L’importante è che ci sia, che ci stia e che ci dia “la roba”: è il Cristo spacciatore.
Per questo abbiamo bisogno di fare esperienze forti di silenzio, di prendere coscienza di quanto siamo storditi e imbottiti da distrazioni e anestetici vari, di quanto facciamo fatica a stare con noi stessi e di stare alla presenza di Dio, di quanto spesso siamo incapaci di dare a noi stessi e agli altri ciò di cui hanno bisogno; abbiamo bisogno di gustare la fatica di stare con la nostra povertà e meschinità, di ri-scoprirci creature. Troppo spesso, infatti, pensiamo di riuscire ad incontrarci con noi stessi e con Dio: in realtà tra Lui e noi mettiamo una fittissima barriera di idee, di distrazioni, di cose da dirGLi e da chiederGli… “Ho avuto paura perché sono nudo e così mi sono nascosto…”.
Abbiamo bisogno di vivere forti momenti di preghiera, abbiamo bisogno di una preghiera che sia esperienza di incontro con Gesù; non abbiamo bisogno di preghiere preconfezionate, di schemi o di parole da dire a Gesù, ma di una preghiera profondamente biblica e veramente “aperta” al soffio dello Spirito, perché Lui solo ha il compito di “attualizzare”, cioè di rendere possibile ancora oggi l’incontro di salvezza con Gesù Crocifisso e Risorto.
Abbiamo bisogno di ascoltare la Parola, di lasciarci radiografare, operare chirurgicamente, confortare e consolare dalla Parola di Dio e di metterla alla prova ogni giorno: solo così, nel groviglio della nostra vita quotidiana, possiamo scoprire la verità delle Parole di Dio, la Sua fedeltà, imparando a leggere sempre più e sempre meglio ciò che ci succede. Solo così potremo chiamare la cose con il loro nome, riconoscere ciò che è bene e ciò che è male.
Abbiamo bisogno di fratelli con cui condividere questo cammino; dobbiamo imparare ad alzare lo sguardo oltre i nostri problemi e i nostri orticelli, per poter sentirci veramente meno soli. E nella relazione con il fratello imparerò a giocare tutto me stesso, con le gioie e i dolori che il mio cammino di crescita comporta.
Vieni, Santo Spirito!
Vieni, Spirito di luce, nelle nostre tenebre! Luce dei cuori e Luce delle menti, vieni!
Vieni, Spirito di fuoco, e riscalda ciò che è freddo e gelido!
Vieni, Spirito di unità, e unifica le nostre persone!
Vieni, Spirito di ordine, e metti ordine dentro di noi e nelle nostre vite!
Vieni, Spirito di pace, e donaci l’imperturbabile serenità della fede e della speranza!
Vieni, Spirito d’amore, e facci amare come Gesù! Amen!
Pensierino del buon Gesù
giovedì 10 luglio 2008
IL "ROVETO ARDENTE" (dato che ne parlo spesso...)
Alla base di questo progetto d’amore e di salvezza c’è una Parola biblica: ESODO 3,1-11.
Ora Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: “Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?”. Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: “Mosè, Mosè!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!”. E disse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dalla mano dell’Egitto e per farlo uscire da questo paese… Ora và! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!”.
Mosé, ai piedi del Roveto, si scopre chiamato da Dio, viene rinnovato interiormente dal Suo amore (“togliti i sandali!”) e viene inviato, cioè reso strumento di salvezza per i sui fratelli. La stessa cosa accade oggi ai piedi di Gesù Eucaristia: è Lui che ci chiama, è Lui che ci purifica e ci rinnova con il Suo Spirito, è Lui che ci invia, come intercessori ed evangelizzatori.
Giovanni Paolo II, durante la Pentecoste del 2004, ebbe a dire: “Incoraggio l’iniziativa denominata “Roveto Ardente”, promossa dal Rinnovamento nello Spirito. Si tratta di un’adorazione incessante, giorno e notte, davanti al Santissimo Sacramento; un invito ai fedeli a ritornare nel Cenacolo perché, uniti nella contemplazione del Mistero eucaristico, intercedano per la piena unità dei cristiani e per la conversione dei peccatori. Auguro di cuore che questa iniziativa conduca molti a riscoprire i doni dello Spirito, che hanno nella Pentecoste la loro fonte sorgiva.”
Questa è la natura di ogni “Roveto”: un tempo di conversione, di guarigione, di liberazione, di consolazione, un tempo di preghiera, dove ci si educa alla contemplazione di Gesù Eucaristia e all’ascolto della Sua Parola, alla lode e all’intercessione per i fratelli. Nella potenza dello Spirito Santo, cioè attraverso l'esercizio e la manifestazione di particolari carismi, come il canto in lingue, la profezia, ecc.
Benedetto XVI ha detto: “Inginocchiarsi davanti all’Eucaristia è professione di libertà: chi si inchina a Gesù non può e non deve prostrarsi davanti a nessun potere terreno, per quanto forte. Noi cristiani ci inginocchiamo solo davanti a Dio, davanti al Santissimo Sacramento, perché in esso sappiamo e crediamo essere presente l’unico vero Dio, che ha creato il mondo e lo ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (cfr Gv 3,16). Ci prostriamo dinanzi a un Dio che per primo si è chinato verso l’uomo, come Buon Samaritano, per soccorrerlo e ridargli vita, e si è inginocchiato davanti a noi per lavare i nostri piedi sporchi. Adorare il Corpo di Cristo vuol dire credere che lì, in quel pezzo di pane, c’è realmente Cristo, che dà vero senso alla vita, all’immenso universo come alla più piccola creatura, all’intera storia umana come alla più breve esistenza. L’adorazione è preghiera che prolunga la celebrazione e la comunione eucaristica e in cui l’anima continua a nutrirsi: si nutre di amore, di verità, di pace; si nutre di speranza, perché Colui al quale ci prostriamo non ci giudica, non ci schiaccia, ma ci libera e ci trasforma. Ecco perché radunarci, camminare, adorare ci riempie di gioia. Facendo nostro l’atteggiamento adorante di Maria, preghiamo per noi e per tutti; preghiamo per ogni persona, perché possa conoscere Te, o Padre, e Colui che Tu hai mandato, Gesù Cristo. E così avere la vita in abbondanza. Amen”
PROSSIMO "ROVETO ARDENTE", sabato 19 luglio, a S. Giovanni in Croce (CR), presso la Chiesa Parrocchiale di S. Giovanni Battista, a partire dalla ore 21.
mercoledì 9 luglio 2008
L'uno nell'Altro, l'uno per l'Altro
martedì 8 luglio 2008
Per te, solo per te...
ti ha donato la vita, la libertà, la vita eterna in Gesù…
in Gesù ha cancellato ogni tuo peccato:
per il Suo Sangue tu sei puro ai Suoi occhi…
e ti guarda con un profondo sorriso,
pieno di gioia e di ammirazione: tu sei bello e prezioso per Lui…
non c’è nulla del tuo passato che non conosca,
nulla che sia sconosciuto al Suo Cuore…
ma il Padre ti invita ad alzare lo sguardo,
ti invita ad alzare i tuoi occhi per incrociare i Suoi…
vedi? Perché temi? Perché hai paura di Colui che ti ama?
Ha creato il mondo per te…
ha mandato Suo Figlio per te…
ha effuso il Suo Spirito per te…
ti ha donato Maria come madre e gli Angeli e i Santi come fratelli…
ti segue e ti accompagna ad ogni passo…
Lui c’era prima di te, Lui c’è adesso per te,
Lui ci sarà alla fine della tua vita e sarà lì ancora per te…
Tu sei Suo figlio, come potrebbe dimenticarti? Perché temi?
Apri la tua bocca al sorriso...
apri il tuo cuore alla speranza...
perchè il Suo amore non delude, il Suo amore non viene meno...
se non lo senti, desideralo...
se non lo vedi, chiamalo...
non ti freni la delusione, non ti scoraggi la tentazione...
Lui è pronto per te! Lui è tutto per te!
Padre nostro, che sei nei cieli...
Provocazione sull'Amore Cristiano
Allora la domanda fondamentale è un’altra: io, proprio io, ho incontrato Gesù Cristo? Mi sono sentito addosso il Suo amore? Ne ho fatto esperienza? Ho incrociato per un attimo il Suo sguardo? Ho avvertito la Sua presenza nella mia vita? Ho visto all’opera la Sua onnipotenza?
Finché non faccio esperienza dell’amore personale di Gesù Cristo per me, la Sua morte e la Sua risurrezione saranno eventi che non toccano il cuore della mia vita, che non cambiano il mio modo di ragionare, di volere, di amare; Gesù è e resta un personaggio della storia, avvolto da un alone mitico, una via di mezzo tra un eroe dei fumetti e i grandi morti della storia.
A tal proposito è emblematica l’esperienza di Samuele, il grande profeta biblico: Samuele è cresciuto fin da bambino all’ombra del Tempio, ma, come dice la Scrittura, “fino ad allora non aveva ancora incontrato il Signore”. Samuele vive nel Tempio, fa il chierichetto e il sagrestano, legge e canta, eppure non ha mai incontrato il Signore: com’è possibile??? Sarà il Signore ad avvicinarsi a Samuele, per ben tre volte: ma Samuele non sa riconoscere la voce del Signore. Il Signore non si stanca: continua a chiamarlo. Allora Eli - da cui Samuele andava ogni volta, pensando che fosse lui a chiamarlo nel cuore della notte -, intuisce che sta accadendo un incontro tra Samuele e il Signore e suggerisce la risposta da dare: “Parla, Signore, che il Tuo servo Ti ascolta”. E finalmente avviene l’incontro. Qui è importante anche il ruolo di Eli: ci vuole qualcuno che mi offra una chiave interpretativa, che mi educhi a riconoscere la voce del Signore, a riconoscerne la presenza, i segni del Suo passaggio.
Qui si inserisce anche la mediazione fraterna, fatta di preghiere, di annuncio, di testimonianza: S. Paolo dice espressamente che “nessuno potrebbe invocare il nome del Signore se non gli fosse annunciata la salvezza”, cioè è dalla predicazione che nasce la fede. S. Agostino è diventato tale grazie all’intercessione della madre Monica che per anni ha chiesto la conversione del figlio.
Poi è importante fare memoria di ciò che abbiamo vissuto e di ciò che hanno vissuto altri: questo ci aiuta a sperare e a riconoscere che Dio è realmente presente e all’opera nella nostra vita e nella storia del mondo. Le storie dei personaggi biblici e le vite dei Santi non sono altro che un “canone”, cioè “un’unità di misura” per la fede di ogni credente: ci offrono le lenti giuste per riconoscere Dio anche nella nostra vita.
Infine è importante vivere tutto questo insieme: raccontarsi, confrontarsi, pregare e desiderare insieme sono la via maestra, la via sicura per non “uscire di strada”. Ci collochiamo alla fine di una lunga “processione” di persone che hanno creduto in Gesù e che per noi sono state, con la loro fede, un tramite e un segno della presenza di Gesù. Abbiamo ricevuto questa eredità e a noi è chiesto di continuare ad esserne testimoni.
5 VERBI PER DIRE LA FEDE
1. Andare
"Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". (Mt 28,18b-20)
Da anni non si parla d'altro che di "nuova evangelizzazione". Ma cosa voglia dire praticamente sembra che sfugga a tutti, nonostante milioni di pagine stampate. Si sa che si deve annunciare il Vangelo ad un mondo balordo, ma poi si procede per tentativi, non sempre e non troppo efficaci. Gesù, dal canto suo, su questa spinosa questione ha già dato qualche precisa indicazione, con buona pace di tutti gli esperti di marketing dello spirito. Qualsiasi evangelizzazione, vecchia o nuova che sia, prende avvio da un suo preciso comando: "ANDATE!". Il cristiano è chiamato ad andare, deve andare, non può non andare, portato da e portatore di quattro certezze:
* solo nel nome del Signore Gesù è donata al mondo la pienezza della vita;
* Gesù è il Crocifisso Risorto, a cui il Padre "ha dato ogni potere in terra e in cielo";
* Gesù è con noi, "tutti i giorni, fino alla fine del mondo";
* senza lo Spirito Santo ogni annuncio è assolutamente inefficace.
Il cristiano deve essere, con Gesù e come Gesù, un missionario instancabile, ottimista, entusiasta.
2. Non giudicare
"Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati." (Mt 7,1-2)
Io non so se in Paradiso ci entrano soltanto quelli bravi, gli sposati con figli, i celibi, le vergini, i sani, i normali. Non lo so. Non so nemmeno quale sia di preciso quel "di più" o quel "di meno" che porta un uomo alla scelta libera e consapevole dell'Inferno o del Paradiso. Di una cosa però sono certo: in alcuni uomini è indubbiamente più marcata la scelta del bene, in altri la scelta di ciò che è male. E tra questi due estremi (mai ben definiti) si dispiega un'infinita varietà di altri uomini, confusamente impastati di bene e di male. Ora, di fronte a questo sterminato e variopinto campo che è l'umanità, veniamo quotidianamente assediati da una grande tentazione: quella di voler giudicare, cioè di voler tracciare confini e recinti, più o meno tutti conformi al nostro modo di agire e di pensare: "tu di qui, tu di là, tu dalla mia parte, tu dall'altra… perché io la penso così, perché io faccio così". Gesù invece amava sostare lungo le strade, fuori dalle mura di città, case e sinagoghe, perché solo lì poteva incontrare, da pari a pari, i poveri, i peccatori "pubblici", e poteva stare in loro compagnia, liberamente. Questo scandalizzava i "ben pensanti", i "bacia balaustre" del tempo: "come può il Messia scegliere pescatori, prostitute, usurai, lebbrosi come amici prediletti?". Allora, di fronte ad un Gesù che ama così, c'è poco da fare: o lo seguiamo, o andiamo avanti ad elevare steccati, mura, ecc. E per elevare un muro basta anche una mezza parola di condanna. Guai a noi, quindi, se ci permettessimo di anticipare il giudizio di Dio sulle vite di tanti uomini che non frequentano le nostre Chiese, i nostri gruppi e che non la pensano come noi. Nessuno di noi conosce quell'abisso che è il cuore dell'uomo, nessuno. Solo Dio. E Dio stesso, silenziosamente, è il primo che, di fronte ad ogni uomo, "tutto crede, tutto spera, tutto copre, tutto scusa, tutto sopporta".
3. Spalancare porte e finestre
"Per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà fino alla fine, sarà salvato." (Mt 24, 12-13)
Oggi tante persone muoiono di freddo perché non si sentono accolte, ascoltate, amate per quello che sono. Tante persone muoiono di freddo perché non sentono il calore della Chiesa, della famiglia, degli amici. E il rischio, quando si sente freddo "dentro", è quello di perdere la fede e la speranza. Allora? Braccia aperte e occhi sorridenti: questo è il primo passo, questa è attualmente la sola porta attraverso cui può entrare, vuole entrare l'amore di Dio nella vita di chi ci sta accanto. Siamo canali che hanno il compito di far scorrere acqua che non ci appartiene, destinata a ristorare altre anime, altri cuori, assetati forse più dei nostri. E dopo questo primo passo? Nient'altro che avere il coraggio e la pazienza di stare al fianco, con negli occhi la propria miseria, la propria debolezza, e quell'amore di Dio che ci spinge a cercare sempre ciò che è perduto o lontano. Amare ciò che sembra perduto o lontano: questo è (e deve essere) il cuore di ogni esperienza missionaria. Siamo chiamati a dare la vita per chi "non merita" (ai nostri occhi, agli occhi di una certa Chiesa, agli occhi del mondo) il minimo gesto di accoglienza, di affetto e comprensione.
4. Valorizzare il bene ed educare alla fede
"Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli. È venuto infatti il Figlio dell'uomo a salvare ciò che era perduto." (Mt 18,10-11)
A forza di vedere il male ovunque, dimentichiamo che uno dei nostri compiti è quello di dare speranza, di e-ducare, cioè di "tirar fuori" il buono che c'è in ogni esperienza, anche la più negativa e distruttiva, per valorizzarlo e fondare su di esso qualcosa di ancor più buono. A forza poi di additare "le mete alte" della vita cristiana (che non a caso vengono dette "perfezione"), finiamo per dimenticare o allontanare chi, nel cammino della vita e della fede, non riesce a fare il primo passo, oppure chi si arresta o devia, per tanti motivi. Troppo spesso insegniamo quello che non si deve fare prima di abituare alla frequentazione del mistero di Dio, a tacere, a piangere, a ridere, ad arrabbiarsi di fronte ad un Dio più grande di ogni definizione. Troppo spesso siamo più preoccupati di catechizzare, di creare un consenso intorno a poche idee, invece che di mostrare, anche con gli alti e bassi della propria vita, l'amore di Dio per l'uomo, l'amore di Cristo per ogni uomo. Dobbiamo quindi riscoprire e mostrare l'essenza della fede, cioè la progressiva scoperta di un amore forte, totale, liberante.
5. Soffrire con chi soffre, lottare per chi soffre
"E strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, sanate i lebbrosi, cacciate i demoni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date." (Mt 10,7-8)
Dio non ama il dolore e noi non possiamo amare il dolore per se stesso. Dio non vuole una religione del dolore, non vuole che facciamo del dolore una via universale di salvezza. Il dolore non salva nessuno. Dio non ci chiama a fare del Calvario il nostro abituale luogo di vita, la meta delle nostre anime. Dio ci chiama a scoprire il Suo amore e ad amare come ama Lui. Fino a dare la vita, fino ad offrire per gli altri la propria vita, così come viene, con il suo groviglio di gioie e dolori, attese e delusioni. Dio ci chiama a cambiare quanto è in nostro potere di cambiare, a lottare contro quanto va combattuto e vinto: il peccato che inquina tutto e tutti, la tristezza che paralizza, l'egoismo che chiude il cuore, i pregiudizi e le ingiustizie che umiliano l'uomo. Dio ci chiama a ridare il sorriso a chi soffre. E se è impossibile cambiare una situazione, Dio ci chiede di imparare noi per primi a guardare con gratitudine al buono che c'è comunque intorno a noi, in noi, o al bene (anche eterno) che ci aspetta. Questo dobbiamo fare per ridare certezza ad un mondo confuso e infelice. E se non lo facciamo noi, chi lo può fare al posto nostro?
lunedì 7 luglio 2008
MANDA IL FUOCO!
PENSIERINO DEL GIORNO
domenica 6 luglio 2008
Permettete uno sfogo, un mio personalissimo commento alla trasmissione "Enigma" di Augias (ha dedicato una serata al tema delle STIGMATE). Confesso che mi sono arrabbiato (per l'ennesima volta, come spesso mi capita con le trasmissioni di Augias quando parla di temi religiosi), per una serie di ragioni:
- una conoscenza approsimativa dei termini specifici; un esempio: padre Pio non è stato santificato dalla Chiesa, ma canonizzato, perchè l'unico che santifica è il buon Dio;
- una buona dose di luoghi comuni di stampo illuministico; qui gli esempi sono ancor più numerosi: la povera gente, un po' ignorante, del sud magari, che crede un po' a tutto, in contrapposizione ad un'elite intellettuale e scettica, magari del nord; lo scienziato del Cicap che mostra tutte le diavolerie più infernali, artificiali e arzigogolate pur di mettere in guardia da simili fenomeni, come se il povero S. Francesco si fosse divertito a cospargersi le mani di non so che sostanza urticante per immedesimarsi a Cristo; la storica e il chimico che si lanciano in improbabili spiegazioni psicologiche sulle stigmate e sul sangue, tirando in ballo isteria, autosuggestione e - udite, udite - flussi mestruali; Luzzato che ha sparato a zero su Padre Pio, ignorando chi su Padre Pio ha dedicato una vita... da storico e da teologo; la Chiesa inquisitrice ma anche terribilmente credulona... come se, sopravvivendo da duemila anni alle castronerie dei suoi nemici, non sapesse il fatto suo sulla santità delle persone e sui fenomeni mistici!
- qualche maliziosità: la Chiesa che prima mortifica i mistici e poi li canonizza... per bisogno! La spiritualità che, caso strano, fa spesso rima con soldi ed edilizia popolare...
- un'oggettiva minoranza credente e neanche specificatamente preparata: dov'era un'esperto cattolico di fenomenologia mistica? Dov'era uno dei vescovi che segue questi fenomeni? Dov'era uno dei rappresentanti della Congregazione per le Cause dei Santi? Dov'era un teologo o un'esageta serio e preparato?
Non giudico la buona fede e non metto in dubbio l'intenzione giornalistica dell'informazione a 360°. E sono d'accordo sul rischio di mistificazioni e facili entusiasmi per gente imbrogliona. Ma si corre un rischio, terribile: quello di spacciare ipotesi o mezze verità per verità certe, sicure e fondate. Purtroppo dobbiamo confessare la nostra ignoranza in materia di fede. E sull'ignoranza il demonio avanza trionfante.